Chiesa di Sant'Atonio Abate a Saione (Arezzo)

La chiesina, oggi costretta tra i palazzi del popoloso quartiere di Saione, ha origini molto antiche. Oggi è di proprietà dei Francescani Osservanti, cui compete la vicina parrocchia. Nel secolo XIII si trova citata come S. Antonio Abate extra muros (fuori delle mura), per distinguerla dall’ononima chiesa entro le mura, tra gli attuali Corso Italia e via Madonna del Prato, di pertinenza di una importante Compagnia.
In ambedue si svolgeva una partecipata devozione al Santo, che culminava nella festa del 17 dicembre; la chiesetta extraurbana, posta lungo un’importante via di comunicazione verso Sud (l’attuale Via Romana) costituiva una tappa per i viandanti e gli allevatori. La chiesa urbana, cui era annesso un Ospedale, fu distrutta nel Settecento; ne rimane una statua del santo in terracotta, oggi conservata al Museo Nazionale d’arte medievale e moderna, mentre un’altra figura del Santo è ancora presente sulla lunetta del portale dell’Ospedale.
Invece non è dato oggi di conoscere nessuna immagine antica del Santo proveniente dalla chiesa di Saione: è ancora presente solo una tavola neogotica, datata 1933 e firmata da Venanzio Bolsi . L’artista, attivo per i Francescani Osservanti, è autore della pala d’altare dell’eremo di Montepaolo, presso Dovadola (Forlì-Cesena) anch’esso intitolato a Sant’Antonio Abate. La tavola fu eseguita all’epoca di una radicale ristrutturazione dell’edificio, che funse da chiesa parrocchiale per un breve periodo, sino alla consacrazione della parrocchia attuale, nel 1936.
Scheda Cavigli
Fonti orali testimoniano come, ancora all’epoca, fosse attiva la devozione al Santo, che veniva invocato particolarmente per le sue facoltà di guaritore.
Attualmente su questa devozione antoniana si è sovrapposta una prassi cultuale singolare, che coinvolge il sito, le cui parete sono tappezzate di una grande quantità di immagini recenti, di vario materiale e soggetto ,davanti alle quali i passanti, in numero rilevante, si fermano quotidianamente ad accendere una candela.
A parte i proventi legati alle candele, i devoti lasciano quasi sempre offerte in denaro e piccoli doni.
L’ambiente è in penombra, e la suggestione delle fiammelle accese è notevole.
Una grande statua lignea –forse settecentesca- raffigurante il Cristo Portacroce è oggetto di una intensissima devozione: l’immagine è toccata, circondata da candele accese –non senza rischio per la sua conservazione e per quella dell’intero edificio-; gli interstizi presenti nella scultura sono riempiti di fiori, fotografie di defunti e di malati, bigliettini con richieste di grazia.
Se richieste, le persone più anziane e di origine locale –una minoranza rispetto alla moltitudine dei fruitori, spesso stranieri- raccontano della oggi desueta (?) devozione antoniana e delle cerimonie di benedizione degli animali; stiamo lavorando a raccogliere – per quanto possibile- dati sulle diverse componenti cultuali e culturali, che, già a un primo esame, appaiono determinare comportamenti rituali sincretistici e di sicuro interesse.