Il "Fuoco di Sant'Antonio"

Il “fuoco di sant’Antonio”
Rispetto alle malattie che colpiscono l’uomo, sant’Antonio Abate è invocato soprattutto per un grave gruppo di patologie, che per diffusione e pericolosità furono oggetto di studi sin dall’epoca classica.
L’elemento comune tra di esse è l’insorgenza di arrossamenti e ulcerazioni cutanee, che rappresentano la manifestazione visibile di una serie di malattie gravi, e anche mortali. Tra di esse, l’herpes zoster, dovuto a un virus. Più di recente, si tende a restringere la denominazione all’ergotismo cancrenoso, di origine alimentare, legato al consumo di segale contaminata da un fungo, la claviceps purpurea (“segale cornuta”).
L’estrema diffusione di questa patologia, e di quelle ad essa assimilabili, determinò un ruolo sociale di spicco per i taumaturghi e i guaritori, e, in particolare, per i monaci dell’ordine ospedaliero antoniano, allevatori dei maiali, del cui grasso veniva fatto uso per lenire la cute .
Risultato di tale situazione è l’estrema diffusione dell’iconografia del Santo con i porcellino e il relativo campanello.
Nei territori della Toscana meridionale l’intervento dei guaritori ( che “segnano” la parte malata nel nome del santo) è tuttora relativamente diffuso. Tali capacità spettano all’ultimo di sette figli, tutti maschi o tutte femmine.
Per approfondire:
P. Braconi, Il porco cintato e il fuoco di sant’Antonio: appunti di geografia dell’herpes zoster, pp. 429-435 – academia/edu (con bibliografia precedente);
L. Fenelli, Dall’eremo alla stalla. Storia di Sant’Antonio abate e del suo culto, Roma/Bari 2001;
C. Gelmetti, Il fuoco di sant’Antonio: dai misteri eleusini all’LSD, (II ed.), Milano 2010;
A. Foscati, Ignis sacer. Una storia culturale del “fuoco sacro” dall’antichità al Settecento, Firenze 2013