Sede di Arezzo
La sede di Arezzo ha gli uffici nel Palazzo Albergotti, detto "delle Statue"
All’incrocio tra la via Maestra e il Borgo di Sassoverde, così come si vede nella pianta di Arezzo di Marcantonio Bettacci del 1643, gli Albergotti possedevano un gruppo di tre case con orti in parte per loro uso e in parte appigionate. I proprietari, una delle più antiche e potenti famiglie aretine, intenzionati a costruire lungo quella che si può considerare una delle arterie principali della città il nuovo palazzo di residenza, nel 1791, incaricarono l'architetto chiancianese Leonardo Massimiliano De Vegni della realizzazione.
Il De Vegni, malgrado i vincoli volumetrici e strutturali che derivavano dalla presenza delle tre unità edilizie, riuscì, attenendosi alle altezze originarie, a comporre un edificio che, sia in pianta che nei prospetti principali, non sembra risentire dei vincoli derivanti dall'orditura dei setti murari preesistenti a cui dovette riferirsi.
Il palazzo presenta, con le parole del Salmi « una facciata fredda che lo assomiglia, nei suoi spartimenti e nel frontone mediano ad un teatro », ed è proprio questa secchezza di forme dovuta alla mancanza di rilievo delle modanature architettoniche che gli veniva contestata anche dai contemporanei.
In effetti, la ristrettezza della via del Lastrico su cui si doveva delineare la facciata principale, ma anche una precisa scelta formale, portarono il De Vegni a disegnare un prospetto nel quale l'avancorpo centrale, di poco rilevato, propone senza variazioni gli elementi compositivi presenti nel resto della parete, con l'unica eccezione delle sei piatte lesene che ne sostengono il timpano triangolare.
Il Palazzo rappresenta una delle massime espressioni dell’architettura neo-classica aretina risalente alla fine del XVIII secolo. E’ detto anche “delle Statue”, essendo il coronamento costituito da grandi figure allegoriche in cotto, opera dello scultore Ciofini, poste sull'attico del palazzo, così come il frontone. Il Palazzo è caratterizzato da 'razionali' stilemi neoclassici che raggiungono la nota più alta nel prospetto principale lungo Via Ricasoli (la vecchia Via del Lastrico): una facciata, con bugnato liscio al piano terra, tripartita da un corpo centrale lievemente aggettante e scandito da lesene nella parte superiore, con timpano, dove l'architetto inserisce come unica decorazione, oltre alla dentellatura della cima frontale, un grande stemma sostenuto da allegorie della Fama caratterizzano figurativamente la composizione.
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I lavori, iniziati nel 1792 (data dell'incarico) , terminarono nel 1799 e nel dicembre di quello stesso anno Alessio Albergotti si trasferì nel nuovo palazzo. L'anno successivo la facciata fu colpita da una cannonata francese e, nel 1801, il palazzo dovette subire i primi restauri.
DALL'ARCHIVIO STORICO FOTOGRAFICO ARETINO anno 1896 - 1900
Il palazzo, che si affaccia col retro su un vasto giardino, nel suo interno ambienti voltati con lunette (al piano terra) affrescati (XVII sec.) da Giovan Battista Biondi e aiuti; al piano superiore una cappella, mentre una scala segreta ascendeva (presumibilmente) dal mezzanino sino alle soffitte.
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Entro illusionistiche strutture architettoniche, caratterizzate da colonne scanalate con capitelli corinzi e sormontate da trabeazioni ridondanti di elementi decorativi, tra festoni, valute floreali, clipei e busti, in parte riconducibili ad un gusto ancora tardo barocco e in parte invece a motivi di matrice neoclassica ricavati già dalla fine del Settecento da repertori e circolanti negli ateliers dei decoratori, si aprono due grandi vedute di cui una con Paesaggio con costa marina , l’altra con Paesaggio con templi greci, nella quale oltre la data suddetta reca anche la sigla < A.A > che per il momento non è possibile sciogliere. [2]
La decorazione di Palazzo delle Statue costituisce in Arezzo uno di primi esempi di transizione tra il gusto settecentesco imposto ovunque dai Bibiena, celebri scenografi di origine casentinese, e l’indirizzo neoclassico, introdotto in Arezzo anche negli edifici privati, dopo le vicende pittoriche della Cappella della Madonna del Conforto.>>[3]
Nel 1830, gli Albergotti sono costretti a vendere l'immobile alla Imperiale e Reale Corona. Del giardino,. probabilmente riorganizzato dallo stesso De Vegni, nel rogito notarile si scrive : «La facciata di tergo corrisponde in un giardino alquanto esteso in fondo al quale esistono due fabbriche basse» e ancora: «...giardino abbastanza grande, ma alquanto in disordine, diviso in arcoli con poche piante di rose, ….»
Il «giardino» è ancora destinato ad orto nel 1937, quando si effettuano nel palazzo lavori di restauro per conto dell'Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette; è ancora in stato di degrado allorché, nel 1971 (nel 1964 i locali erano stati ceduti dall'Intendenza di Finanza alla Soprintendenza), il palazzo è dichiarato «di notevole interesse artistico e storico» e il giardino viene compreso nella «Lista Internazionale dei Giardini Storici» dell'ICOMOS di Parigi.
Il restauro di questo spazio verde, che per le sue caratteristiche esemplifica il giardino storico di Arezzo, ha rispettato lo schema quadripartito, con vasca centrale, suggerito dalle descrizioni e sopratutto dichiarato dalle piante catastali, a partire dal1874. I lavori sono stati diretti, nel 1975, dall'arch . Carla Corsi Miraglia della Soprintendenza per i Beni A.A.A.S. di Arezzo.
Al giardino, di pianta all'incirca rettangolare, si accede attraversando il vestibolo del palazzo, sopraelevato rispetto al piano stradale di Via Ricasoli. Le quattro aiuole erbose, perimetrate da un cordolo in muratura e da siepi di bosso, presentano al centro e negli angoli piccole aree con cespugli di rose; due palme sono state collocate nel centro delle due aiuole a nord. I vialetti sono tenuti a ghiaino. E stata conservata la vasca centrale. Lateralmente poi (est/ovest) i muri perimetrali sono sottolineati da lunghe aiuole rettangolari destinate a fioriture stagionali.
La percezione 'intimistica' del giardino che si ha dal vestibolo verso l'esterno, e dal giardino verso il prospetto nord del palazzo, è favorita dagli alti muri perimetrali: non si può non pensare all'hortus conclusus di più antica memoria. A questa immagine fa riscontro la visione panoramica dal primo piano: tutta la prospettiva del giardino «chiusa» sui tre lati, si rapporta all'ampia visuale del Casentino sul quale si affaccia questa parte della città.
NOTA SUL RESTAURO
Il palazzo Albergotti detto delle Statue, dopo il passaggio allo Stato Italiano fu destinato ad uffici pubblici e scuole. Tale destinazione se ha consentito la conservazione del complesso, ha anche comportato manomissioni tali da snaturare gli spazi originali frazionandoli a scopo utilitaristico in relazione alle esigenze dei nuovi utenti.
La Soprintendenza inizialmente occupava pochi ambienti al piano terra del corpo di fabbrica prospiciente Piazza Landucci, solo in un secondo tempo il trasferimento del U.T.E. in altra sede consentiva di disporre della quasi totalità del piano terreno.
Iniziava, allora, un'opera di restauro delle sale più rappresentative eliminando le tramezzature realizzate in varie in varie epoche al fine di recuperare gli spazi originali.
Il ritorno all'integrità dell'ampio salone che dall'ingresso principale arriva a prospettare sul giardino all'italiana ha consentito di restituire quella voluta rappresentativa che in origine caratterizzava il piano terreno, sottolineata anche dalla decorazione che ne circonda la porta di accesso quale preludio alla ricca decorazione interna. Sulla destra del salone sono alloggiate, sia pure spazi ristretti, le due sezioni della Soprintendenza relative ai beni Artistici e Storici e ai Beni Ambientali e Architettonici; sulla parete sinistra hanno accesso due ampie sale arricchite da soffitti decorati e anch'esse restituite alla primitiva integrità.
L'intervento sul giardino e sulle piccole dependances addossate al muro di cinta è stato preceduto da ricerche di archivio che hanno consentito di ritrovare una pianta illustrante la sistemazione ottocentesca. Lo studio comparato del disegno, di analoghi impianti superstiti e degli scarsi elementi ' in situ ' ha permesso di riproporre il giardino all'italiana con le quattro ampie aiole delimitate da siepi di bosso e la grande vasca centrale, contemporaneamente sono stati realizzati gli interventi di consolidamento e ripristino dei due piccoli manufatti addossati al muro di cinta del giardino, destinandone uno a gabinetto fotografico.Arch. Mauro Abatucci
Bibliogafia:
Ministero per i Beni e le attività Culturali e Ambientali Soprintendenza per i Beni Ambientali Architettonici, Artistici e Storici di Arezzo:
- Architettura in Terra di Arezzo
- Il Verde nel Centro Storico di Arezzo
[1] Liletta Fornasari e Alessandra Giannotti, Arte In Terra di Arezzo – l’Ottocento, ED. edifir
[2] Nei documenti di casa Albergotti non è emerso alcun nome che corrisponda alle iniziali. Anche in uno degli ambienti del Palazzo delle Statue si replica il motivo dei tendaggi appesi, largamente diffuso ad Arezzo
[3] Liletta Fornasari e Alessandra Giannotti, Arte In Terra di Arezzo – l’Ottocento, ED. edifir
Gli orari di apertura al pubblico sono i seguenti: martedì dalle 9,00 alle 13,00 ; su appuntamento il venerdì dalle 10,00 alle 12,00 (non obbligatorio ma su disponibilità dei funzionari)
Galleria fotografica
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- Atrio d'ingresso al Palazzo
Atrio d'ingresso al Palazzo
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- Salone piano terra
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- Soffitto affrescato del salone al piano terra
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- Atrio d'ingresso del primo piano
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- Salone piano primo, anticamera del Soprintendente
Salone piano primo, anticamera del Soprintendente
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- Salone piano primo, anticamera del Soprintendente
Salone piano primo, anticamera del Soprintendente
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- Particolare affresco lato destro salone
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- Salone destro piano primo anticamera uffici
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- Salone destro piano primo anticamera uffici
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- Sala attesa
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- Giardino interno
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- Veduta aerea del giardino del Palazzo delle Statue
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- Quadreria
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- Quadreria
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- Quadreria
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- Quadreria
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- Quadreria
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- Quadreria
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- Quadreria
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- Quadreria
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- Quadreria
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- Anno 1896 - 1900
Palazzo Albergotti in Via Ricasoli, detto “delle statue”. Sulla sinistra, Piazza Lando Landucci. In primo piano, i quattro cippi in pietra all’inizio di Piaggia di Murello: percorso dell’antichissima Ruga Mastra che saliva verso il “Foro”.